Il 10 marzo Buffy the Vampire Slayer ha festeggiato un importantissimo anniversario, i 20 anni dalla messa in onda del pilot.
In questa intervista, Joss Whedon, il creatore di questa serie tv cult, risponde a qualche domanda in merito ad un possibile reboot, a quella che è la televisione oggi e su ciò che lo preoccupa di più.
Buffy ha debuttato quando l’idea di showrunner stava appena cominciando a prender piede. Sentivi di essere un rappresentante dello show allo stesso modo che ci si aspetta dagli autori di oggi?
Non sapevo di essere il primo, ma ci ero molto vicino. Il popolo di internet si è riunito attorno allo show in modi che prima sarebbero stati impossibili. Dialogavamo con i fan già dalla seconda stagione. Mi aspettavo di lavorare duramente nell’oscurità, di raccontare le mie storie e che tutto sarebbe andato bene. All’improvviso, potevo parlare con i fan, andare al Comic con e la gente conosceva il mio aspetto. Come showrunner, ho potuto diventare una sorta di mini-rockstar in modi che mai mi sarei aspettato. Non vi ero preparato e quel potere mi ha sicuramente corrotto, ma sembrava naturale. Ogni sceneggiatore pensa di dover essere la persona che tutti vorrebbero incontrare, ma non era per me in quanto tale, ma per la storia. Quindi non è quasi mai diventato strano.
Tu e gli altri sceneggiatori reagivate davanti ai vari feedback?
Un po’. Ci era chiaro che potevamo avere ogni tipo di risposta, ma sei in grado di dire cosa appassiona la gente e cosa invece accetta e basta. Si tratta di piccole cose, come sentire che fra Buffy e Faith c’è un sottocontesto omosessuale e poi arrabbiarti. Praticamente ogni volta che due donne parlano c’è qualcuno che mette in mezzo il sottocontesto omosessuale. Io pensavo “oh e basta! Ma che avete di sbagliato, gente?”, poi qualcuno lo sottolineava nel proprio trattato sul sottocontesto omosessuale, lo leggevo e mi dicevo “oh sì, come no, hai proprio ragione. Non avevo idea ci fosse”. Non vi abbiamo fatto riferimento salvo che per qualche battuta qui e lì, ma ci ha aperto gli occhi sul modo in cui le storie lavorano. È stato il momento in cui ho coniato la frase “B.Y.O. Subtext”. Ho capito che tutti inseriranno il loro personale elemento narrativo in quello che gli stai raccontando. Va bene, è così che funziona.
Buffy era insolitamente femminista per l’epoca. Pensi che le storie guidate dalle donne siano parte della TV oggi nella misura in cui dovrebbero esserlo?
Sono parte della tv così come erano parte dei film. Anche prima che fosse accettabile, una grande attrice poteva trovare la propria casa in tv e avere più lavoro, soprattutto dopo una certa età. Ma avere una donna come protagonista di una serie d’azione spiazzava certa gente. Questo di sicuro è cambiato, quello che le donne possono fare davanti alla telecamera è sicuramente migliorato, ci sono più scelte, storie e verità. Dietro la telecamera? Non va altrettanto bene. Paghe uguali? [risata malefica] con Buffy volevo effettivamente fare uno show femminista, ma non era mio interesse parlare di politica. Volevo vedere qualcosa che sentivo di aver bisogno di vedere. Sentivo che quella ragazza non fosse rappresentata. Volevo vedere una donna al potere e uomini a cui ciò stava bene. È così per me. Al contempo, stavo creando uno show horror.
Cosa è stato difficoltoso nell’unire le due cose?
Se cominci a guardare gli effetti che hai su una certa comunità, ad un certo punto smetti di scrivere. Cominci a scrivere discorsi – e con questo non intendo dire che i personaggi li fanno, perché di quelli ne scrivo parecchi. Intendo dire che cominci a fare propaganda e polemiche invece che fiction.
L’input per la parità e la rappresentazione è diventato una grande parte di ciò di cui si parla nel mondo dell’intrattenimento. Qual è il tuo punto di vista sulla questione di avere più donne e persone di colore?
Di sicuro ero inconsapevole che la problematica affliggesse così tante persone, cioè la mancanza di rappresentazione. Pensavo, “stiamo andando bene. Alla gente piace. Ed è difficile, quindi ci limiteremo a scrivere queste storie, ci rapporteremo all’esperienza umana, ma non insisteremo troppo sull’aspetto morale”. Poi, più in là, lo avrei fatto…non ho aiutato. Non ho detto apertamente di assumere più registi donne o di colore. Non ci ho pensato fino a dove ero arrivato. Non ero necessariamente parte della soluzione. Ero, come si dice, proprio nel mezzo? Ho imparato molto da Marti Noxon, produttore esecutivo di Buffy, perché si è sempre presa cura di chi andava da lei e si assicurava che progredissero. Aveva una consapevolezza dell’ineguaglianza di rappresentazione, che io invece non avevo. Ragionava come gruppo e non da egoista singolo come me. Io non avevo quella larghezza di banda tale da occuparmi degli umani. Spero di aver trattato rispettosamente le persone, ma di sicuro mi sono perso qualche punto qua e là. Appartenevo ad una certa epoca, ora ovviamente sono super sveglio.
Data l’abbondanza di tv al giorno d’oggi, sembra che comparativamente ci siano meno show sui liceali rispetto agli anni Novanta. Pensi che quegli spettatori abbiano bisogno di essere più considerati?
Penso che quello che noi abbiamo fatto, e che nessuno prima aveva fatto, sia stato prendere seriamente i teenagers. Stavo per lanciare una teen soap, originariamente basata su Pump Up the Volume, e poi mi sono reso conto che nessuno si prende sul serio quanto gli adolescenti. Perché non fanno quel tipo di drama che sembra ridicolo con gli adulti, ma con i teenager, con i quali tutto è amplificato? Poi uscirono sia 902010, la versione stupida di quello, e My So Called life, la sua versione straordinaria. E allora mi dissi, ok, esiste. Farò riferimento ad entrambi gli show quando lancerò Buffy. Erano gli unici da prendere in considerazione. Dopo Buffy, penso che la gente fosse piuttosto aperta all’idea. “Oh sì, c’è questa fetta di mercato in cui vogliono essere eroi. Non sono forse anche quelli che si suppone comprino le cose?”. Per un po’, è andata così. Poi sono arrivati i Sopranos e Sex and the City e gli adulti hanno preso il sopravvento.
Sarebbe altrettanto facile vendere Buffy oggi?
Con la combinazione fra drama e genere devi davvero lavorare duramente per non farlo funzionare. Ero solito dire che Buffy sarebbe stato popolare anche se non fosse stato fatto bene – poi ci sono stati un paio di show che l’hanno confermato, ma non li menzionerò. Quello cui abbiamo fatto riferimento era più grande della bellezza dello show, una posizione invidiabile in cui essere.
Gli spettatori oggigiorno sembra sentano come dovuti reboot e reunion per qualsiasi cosa. Tu perché pensi accada ciò?
Perché molti lo stanno facendo. E ci sono molti grattacapi. Sono sicuro che a breve faranno un reboot de La vita secondo Jim. La banca della nostalgia è a tal punto sicura da far sì che possiamo continuare a prelevare? E lo dice un uomo che ha fatto un film o un fumetto da ogni singolo show che ha fatto. Qualcuno deve andare avanti. Dobbiamo creare nuove cose che poi le persone possano provare a rebootare. È qualcosa che tutti sognamo, ma poi che succede? Capisco la sensazione da “lo amiamo e possiamo averlo”. Stavo prospettando al mio agente un Firefly interamente finanziato dai fan prima ancora che questo concetto esistesse. In questi reboot vedo un po’ di quelli che definisco “gli artigli della scimmia”. Riporti in vita qualcosa e, anche se è buono tanto quanto prima, l’esperienza in sé non lo sarà. Hai già fatto quell’esperienza e parte di ciò che l’ha resa grandiosa è stato proprio il fatto che fosse la prima volta. Devi soddisfare le aspettative e aggiustare il prodotto alle circostanze, cosa non facile. Per fortuna molti miei attori hanno ancora un aspetto meraviglioso, ma non mi preoccupa che diano di stantio. Mi preoccupa più che sia io, come storyteller, a dare di stantio. Non vuoi avere la sensazione che avresti dovuto lasciare prima del bis. Non lo escludo, ma è una cosa che temo.
Il tuo lavoro ultimamente è stato prevalentemente di tipo blockbuster. Avere un budget maggiore rende le cose più facili o difficili?
Avere più soldi è ottimo sotto plurimi aspetti, ma alla fine della giornata il lavoro è sempre quello. Con The Avengers avevo tutti i soldi del mondo, ma i miei attori erano disponibili solo in certi giorni. Poi sono passato direttamente all’autofinanziato Much Ado About Nothing e qualcuno ha detto “è così diverso!”. Praticamente cerchiamo di giostrarci con gli impegni di tutti. E, da un punto di vista creativo, sto cercando di capire come chiunque prenda parte al film vi appartenga. Cercare di capire perché la serva Margaret sia così interessante da far sì che io abbia chiesto a Ashley Johnson di interpretarla è come cercare di capire l’utilità di un tipo con arco e freccia durante l’apocalisse. Per me, è o tutto o niente. O è Doctor Horrible o è The Avengers. Ho sempre detto che per me la cosa peggiore era finire sul radar. Con Buffy ed Angel ci davano pochi soldi e ci facevano decisamente poche osservazioni, ma era un ottimo accordo. Quando siamo arrivati a Firefly, le aspettative e le ingerenze erano così tante che c’è stato una collisione e lo scoppio. Per fortuna i ragazzi della Marvel tengono alla storia, quindi è un posto più sicuro che altri, ma devi soddisfare comunque aspettative, che talvolta sono grottesche.
Dalla tua ultima serie tv, sembra che il modello tutto-in-una-volta sia diventato la norma per molti creatori. Che te ne pare?
Io non lo userei. Vorrei che le persone si sintonizzassero ogni settimana e che provassero l’esperienza di guardare qualcosa al contempo. Abbiamo rilasciato Doctor Horrible in tre atti e lo abbiamo fatto in parte perché sono cresciuto con miniserie come Lonesome Dove. Adoro la tv evento. Poi, andando avanti, ho pensato “facciamolo su internet!”. Nel corso di quella settimana le conversazioni sullo show sono cambiate e cambiate , è stato eccitante da vedere. Ovviamente Netflix sta producendo un sacco di roba eccezionale e se venissero da me, dicendomi “ehi qui ci sono i soldi! Fa’ qualcosa che ti piace!”, direi “rilasciatelo quando vi pare, ciao”. Ma preferisco le cose un po’ più vecchia scuola. Ogni cosa cui possiamo aggrapparci che dà vita a qualcosa di specifico, ad un episodio particolare, va bene per il pubblico. E per gli sceneggiatori. “Questa settimana parliamo di questo!”. Avere 6,10, 13 ore senza un momento per respirare e allontanarsi da quello che hai fatto…dire “oh, ok, è solo la settima parte di dieci”, diventa amorfo da un punto di vista emotivo. E questo mi preoccupa della nostra cultura – il poter accedere a tutto in qualsiasi momento. Detto ciò, se è questo che la gente vuole, lavorerò altrettanto duramente. Mi adatter.
Che ne pensi del binge-watching?
Più rendiamo le cose granulari e meno complete, più diventa una stile di vita, invece che una singola esperienza. Diventa un ambiente. Perde potere e noi, a nostra volta, perdiamo qualcosa. Perdiamo la nostra comprensione della narrazione, che è il motivo per cui siamo arrivati alla televisione. Veniamo solo per vedere come finisce. Mi piace fare questo riferimento, è come “Angela Landsbury scopre il colpevole”. Sta diventando un po’ difficile aggrapparsi a quello. Binge-watching, certo che l’ho fatto ed è estenuante, ma può essere divertente. Non è il male, ma mi preoccupa. È parte di un insieme ben più grande.
Pensi ci sia troppa tv oggi come oggi?
Non fraintendetemi, penso sia l’età d’oro della televisione. Se ce n’è troppa? Sì. È questo il massimo reclamo che ho da fare? Diavolo, no. Ammetto che, in più conversazioni, sono Andy Samberg nel numero musicale di apertura degli Emmy. È il più profondo che abbia visto in anni, ma c’è anche dell’ottimo lavoro in giro. Le persone vanno in giro ad un buon ritmo, ma il modo in cui questo appare e sta in giro, difficilmente ha una forma fisica ben definita. Ma non il contenuto.
Tu sei un progressista. Qual è il ruolo di chi fa tv e cinema nell’America di Trump, che vuole reagire? E come reagisci al fatto che spesso la sinistra può apparire paternalistica?
La sinistra non è mai paternalistica. Lascia che te lo spieghi, giovanotto [ride]. Non fatemi cominciare a parlare della sinistra, l’unica cosa che sa fare è attaccare l’altra sinistra. È un’equazione molto complessa. Amo il fatto che certe volte la gente mi riconosca e che mi riconoscano un merito spesso non riconosciuto ad altri sceneggiatori, ma avrei voluto non aver mai parlato di politica. Quando lo fai ,la gente si concentra su di te e non sul tuo lavoro. Ti allontana dalla storia e le fa perdere profondità. Non è un bene per un artista, per la sua arte, essere politici. Eppure, se hai una platea e ti importa, chi non lo farebbe? Al momento importa di tante cose. Siamo nel mezzo di una crisi sconcertante. Nell’Oval Office abbiamo uno psicotico narcisista e abbiamo un Paese che, in qualche modo, inavvertitamente ma al contempo empaticamente, ce l’ha messo. Cosa possiamo fare? Più fai la ramanzina, più scendi nei dettagli, più, come hai detto, è probabile che apparirai condiscendente, che tratterai con sufficienza o che sarai debolmente ridicolo. Non stiamo trattando di qualcosa che vogliamo che gli spettatori introducano nelle loro vite e che gradualmente realizzino…vogliamo che abbia un effetto in una o due settimane. Le cose stanno procedendo in fretta e collassando molto velocemente, così velocemente che non c’è modo. Ho appena visto un episodio di Supergirl in cui provano a deportare un gruppo di alieni. Le cose di cui abbiamo genuinamente paura, ecco cosa verrà mostrato. Un senso di catastrofe incombente darà di sicuro vita ad un sacco di lavori e avremo conversazioni mai fatte prime. Ci sono cose come Get Out, che non sarà stato fatto cinque anni fa, ma che è una pietra miliare. Ma non è facile fare un attacco diretto, devi separare arte e politica e farle una alla volta. Le mie idee politiche sono in tutti i miei show. Ultron in sostanza ce l’aveva con gli Avengers per essere dei ricchi fuori portata. È sempre un conflitto per me.
Cosa ci puoi dire dei temi e delle questioni che intendi esplorare nei tuoi futuri lavori?
Dopo Ultron, mi sono preso una pausa – la prima in 25 anni, a dire il vero. Mi sono seduto a pensare a quello che volevo fare e scrivere. Alla fine, sono tornato sempre alla stessa cosa: giovani donne con il potere in mano ed il peso di quel potere. Questi sono i due temi narrativi che mi hanno sempre interessato. La diminuzione della propria umanità causata dall’avere il potere. Mi rendo conto che lo sto facendo di nuovo, ma va bene finché lo faccio in modi nuovi e con nuovi personaggi, imparando qualcosa strada facendo.
Guardando all’eredità di Buffy, è quella che ti aspettavi mentre facevi lo show?
Per molto tempo, la gente mi chiedeva…”non sei emozionato che ci siano show come Charmed e The Vampire Diaries?”. Non sono quelli la sua eredità. È ottimo che ci siano questi show, ma non è quello che noi speravamo. Noi speravamo che lo show facesse sentire le persone più forti, che si creasse qualcosa che facesse arrivare l’idea della leadership femminile, interiorizzandola. È qualcosa di cui la gente mi ha parlato più spesso che mai negli ultimi anni. All’epoca, avere uno show con protagonista una donna non era la norma e averla in uno show definito come drama non è roba da poco. Siamo davvero riusciti a fare il primo show di fantascienza in tv che fosse bello e non inquietante o esagerato. Volevo che la gente prendesse seriamente i teenager. All’epoca c’era un certo sdegno per quello che passa questa categoria , parlare a quello specifico dolore era importante per me, così come fare uno show femminista che non facesse sembrare alla gente di star subendo una lezioncina. Ci sono stati show prima, non voglio fare la goccia d’acqua che pretende di essere l’intera onda, ma dove l’onda si infrange, ecco qual è il nostro obiettivo – dare il potere alle donne e ai giovani, dare importanza a tutti.